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Beijing Airport – in late

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Il tempo è un protagonista del viaggio. Direi quello principale. Lui decide tutto. Le tue scadenze, le tue partenze, i tuoi arrivi. Devi avere un buon rapporto con il tempo, se vuoi viaggiare. Non puoi permetterti di sbagliare, altrimenti la situazione precipita e non sempre è facile venirne fuori. Questo ragionamento avrei dovuto farlo il giorno 2 di gennaio, arrivato a Pechino, per la coincidenza del volo Air China, Pechino-Budapest. Invece succede l’imponderabile. Dopo aver effettuato l’ennesimo controllo in quanto viaggiatore in transito, mi avvio verso il gate stabilito e aspetto. Aspetto troppo, finché l’aereo parte e mi lascia a Pechino. Il telefono scarico, insieme al fuso orario sbagliato e l’enorme stanchezza accumulata per via del volo precedente in partenza alle 5 di mattina da Saigon, mi hanno tolto quella lucidità necessaria che negli spostamenti, un viaggiatore deve sempre avere. Un errore stupido, che dopo anni di viaggi, fra Sudamerica e Sud-est Asia, diventa quasi imperdonabile, ma esiste una prima volta per tutto. Provo a poco a poco a prendere consapevolezza della nuova situazione che mi si è creata, inaspettatamente. Non ho perso un volo Roma-Milano, sono a Pechino, e la cultura cinese non è proprio quella più vicina alla mia. Ma devo essere lucido e rimediare. L’aeroporto di Pechino poi non aiuta, è un immenso impianto e resta vuoto parecchie ore della giornata, per riempirsi improvvisamente e per ritornare ad essere vuoto, desertico, peggio di Atacama. In questo deserto a mandorla, dalle 10 di mattina, inizio a capire come poter scappare da quel posto. Prima cosa da fare è contattare l’Air China, la compagnia con la quale avrei dovuto viaggiare verso Budapest. Solo loro potevano salvarmi. Ma dove sono gli uffici della Air China a Pechino? Sembra facile, basta chiedere. A chi? Al primo che trovi, sperando che parli inglese. Alla fine, riesco a trovare l’ufficio per disagiati che perdono il volo e chiedo cosa posso fare adesso in questa situazione. L’impiegato, molto gentile, cerca di capire il mio stato confusionale. Mi dice subito, così per incoraggiarmi, che il prossimo volo per Budapest sarà dopo due giorni. Per un attimo ho pensato di dormire in aeroporto emulando Tom Hanks, ma anche di fare “una scappata” a Pechino, ma poi ho rinunciato, volevo tornare a casa, in Europa. Quindi chiedo consigli all’impiegato che sorridendo, al limite dello sbeffeggiamento, mi dice che c’è un volo nella notte a mille euro per Budapest. Lo guardo incredulo, rifletto e chiedo se ci fosse un volo per una qualsiasi città europea. Lui cerca ancora, e finalmente trova un volo per Monaco, con partenza alle due di notte, con biglietto di circa cento euro da fare in un altro ufficio. Accetto la soluzione. La svolta dopo momenti di panico. Ma prima mi dice che devo fare assolutamente alcune cose: richiedere visto all’ufficio immigrazione, ritirare il bagaglio che come me è rimasto in terra cinese e acquisto del biglietto presso il banco Air China. Saluto e ringrazio l’impiegato dell’aeroporto e vado all’ufficio di immigrazione. Compilo il foglio con i miei dati, poi vado a fare la fila. Mi guardano con aria sospetta, spiego che ho perso il volo, capiscono la situazione, ridono delle mie disgrazie e mi lasciano passare. Vado a prendere il treno dell’aeroporto verso il reparto bagagli smarriti, esattamente al rullo N41 dell’Air China, dove il mio bagaglio girava a vuoto da almeno tre ore. Dopo vado a comprare il biglietto e faccio subito il check-in, dando il mio bagaglio. Ma intanto volevo fumare. A Pechino, come avevo capito già all’andata, è impossibile trovare un accendino in aeroporto. Allora ricordo che avevo qualche accendino nello zaino. Lo cerco e mi accorgo che lo zaino era stato controllato dagli agenti di sicurezza dell’aeroporto. Niente accendini a Pechino, neanche nel bagaglio da stiva. Così, faccio il check-in, affido il mio zaino all’Air China, sperando di poterlo riprendere a Monaco. Quasi le 2 del pomeriggio. Ho raddrizzato una situazione delicata. Lascerò la Cina alle 2 di notte ma intanto devo stare lì in quell’aeroporto deserto, che a poco a poco comincia a riempirsi, fino a notte fonda.

Esco fuori dall’aeroporto, alla ricerca di un accendino. Mi chiedo, come si facesse a fumare a Pechino, se tutti gli accendini vengono confiscati in aeroporto? Ma non avevo pensato al genio cinese, che anche in situazioni off-limits, si adatta. Fuori infatti, in quella che è la smoking area, trovo altri cinesi fumatori e trovo sul grande posacenere a forma cilindrica, cinque o sei accendini, lasciati lì per i fumatori disperati. Qualcuno passa e prova qualche accendino, alcuni passano solo per rubarsi un accendino, ma qualche accendino resta sempre sul posacenere.

Per uscire dall’aeroporto non ci sono problemi. I poliziotti mi guardavano male. Ero il classico occidentale. Ma per entrare la situazione era differente. Certamente per un problema di capienza e quindi di sicurezza, rientrare in aeroporto significa vivere una situazione certamente curiosa ai limiti della comicità. Chi non ricorda il film di Troisi e Benigni, “Non ci resta che piangere”, quando alla frontiera, l’ufficiale di dogana urla “Altolà, chi va là, un fiorino”. Beh, quasi la stessa cosa. All’entrata in aeroporto, poco dopo essere entrati dalla porta scorrevole, c’è un primo controllo della sicurezza, dove una ragazza, alzando il braccio, mi passa qualcosa addosso, alla ricerca di tracce organiche, registrando l’entrata su un terminale, recitando con voce squillante parole incomprensibili. Sembrava recitasse un copione davanti al grande fratello cinese che controlla dall’alto. Lei impeccabile, svolgeva il suo lavoro. Sempre uguale, sempre le stesse parole. Ripeteva la stessa frase per tutti i passeggeri che chiedevano di entrare in aeroporto. Dopo, si passa al successivo step, dove un altro ufficiale della sicurezza, mi ferma e urla altre parole incomprensibili. Quando questi, riceve il via libera dalla ragazza poco distante da lui, recitando ancora qualcosa, mi dà il via libera per passare. Mi sentivo in un film, ma anche in una dittatura. Tutto studiato, controllato e organizzato, da brividi. Così alla successiva uscita, e in 12 ore di permanenza è successo parecchie volte, ho registrato l’audio e non il video (avrei sicuramente passato guai), di questa comica scena pechinese, che non potrò dimenticare. Intanto il tempo sembra non passare mai. L’attesa è lunga e snervante. La partenza è alle due e ancora sono le sei del pomeriggio. Parlo con una signora australiana di origine cinese che parla inglese. Si, c’è anche questo problema. Non tutti parlano inglese, ma è già una caratteristica che ho notato pure in altri paesi asiatici. Mi offre dei biscotti mentre siamo insieme alla colonnina per ricaricare i telefoni. In lontananza sento ancora quelle voci da parte degli uomini della sicurezza, tutto il giorno così, sempre le stesse grida, le stesse parole. Sempre gente che entra e gente che esce.

Qualche ora più tardi, dopo aver mangiato in un ristorante thailandese dell’aeroporto, esco di nuovo fuori. Fuori il freddo è imponente, quanto le grida dell’uomo che vedo discutere animatamente con due poliziotti. Iniziavo a sentirmi in The Truman Show. Un’altra scena esilarante da gustarmi, in attesa del mio volo, che ancora era lontano. Questo tizio discute con questi due poliziotti. Soprattutto con uno. E discute in maniera accesa, quasi fossero lì per lì per arrestarlo. Ma non lo fanno e la discussione non si placa, mentre lui continua a inveire verso il poliziotto, che ogni tanto risponde e dice la sua. L’altro poliziotto invece sta zitto. Intanto la quantità di curiosi aumenta, richiamati dalle voci dell’uomo. In un primo tempo avevo pensato stessero solo discutendo, ma troppo alte le voci dell’uomo. Più probabile lo stessero arrestando, anche se volevano ascoltarlo. L’uomo addirittura si accende pure una sigaretta e quasi mi viene vicino, nella smoking area. Io mi stavo gustando lo spettacolo, fino a quando mi sono pure stancato di ascoltare lui e il poliziotto, la situazione non evolveva e visto che parlavano in cinese, ed il freddo era notevole, mi sono arreso e sono rientrato. Mi siedo, leggo qualcosa e attendo di andare a fare i controlli, gli ennesimi prima di imbarcarmi. Queste ore passate a Pechino, seppur dentro un aeroporto, mi hanno lasciato tante curiosità sulla società cinese, aperta al mercato ma che nasconde tante contraddizioni al suo interno. Non mancherà certamente la possibilità di vistarla al più presto.

 

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