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Argentina e il profumo d’italia

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Mentre i 33 minatori cileni vivono ancora intrappolati a 700 metri di profondità, mentre a Buenos Aires si susseguono rapine ed aggressioni, anche a chi viene dall’Europa in aeroporto ad Ezeiza, mi trovo ancora per qualche giorno a Salta e poi il 27 agosto alle 13, prenderò il bus per Buenos Aires.

Solamente ventitrè ore di bus ma ormai ci sono abituato. Nessun tour a Salta. I soldi cominciano a scarseggiare e preferisco risparmiare per la Bombonera (biglietto già comprato per 300 $ ARG). Sono qui per riposare dopo le fatiche cilene. Salta come buona parte dell’Argentina vive il profumo italiano in molte cose. Cose che già sapevo e che avevo visto nel precedente viaggio in sudamerica e che qui dopo Cile, Bolivia e Perù, ho riscoperto piacevolmente. Dal Fernet Branca che si può vedere esposto nei bar e ristoranti e che viene usato dai giovani argentini miscelato con la Coca Cola, al vermut Cinzano, alla cotoletta alla milanese che qui chiamano semplicemente milanesa. Ho sempre pensato che l’Argentina dovesse essere la nostra casa di villeggiatura.

Buenos Aires - Arg

Buenos Aires – Arg

Mi è capitato più volte di chiedere informazioni ad argentini fermati per la strada i quali mi chiedevano di dove fossi e alla mia risposta scattava il momento nostalgia Italia. Iniziavano a raccontarmi un po’ le loro storie di famiglia, e a pronunciare le poche parole che avevano imparato dai loro genitori. Che bello sentirli dire espressioni dialettiali campane o siciliane. Lì per lì ho pensato quanto fossero stati dimenticati gli italiani d’Argentina anche se non mancano iniziative attraverso l’Istituto di cultura italiana ma certamente l’estrema lontananza ha reso tutto più difficile. Ma poi ci sono stati i ricordi dei taxisti che mi chiedevano se Nicola Di Bari cantasse ancora oppure cosa facesse Raffaella Carrà. Poi la terminologia italiana che è entrata in Argentina con decisione, con il cocoliche e il lunfardo usato dai carcerati. Il saluto ciao che ormai è internazionale, e i negozi che si chiamano negozi e non tiendas come in spagnolo. Anzi tiendas, mi hanno detto amici porteños, è una parola antica, ormai in disuso. E poi la macchina che in spagnolo è el coche, qui è semplicemente auto o automobile. La Fiat, qui esiste ancora con vecchie fiat 600, rimesse a nuovo ma si vedono anche molte Fiat Uno fire, un modello che qui ebbe molto successo.
Anche nel campo musicale l’Italia si è fatta sentire in Argentina. Come tutte le storie di immigrazione, sembra quasi che l’Italia dimentichi i propri cittadini immigrati e che costoro per ripicca facciano altrettanto. Questo fu il rapporto di amore e di odio con l’Italia di Luca Prodan, l’uomo che cambiò il rock argentino con i Sumo, la sua band. Nacque a  Roma, da padre italiano e madre scozzese. Visse l’infanzia in un collegio scozzese dai dieci ai diciassette anni, cosa che lo segnò per il resto della vita e dalla quale scappò più volte. In Gran Bretagna conobbe l’eroina e fu la sua rovina e la sua fortuna. Visse tra l’Italia dove fu incarcerato per diserzione e per marijuana e l’Inghilterra prima di scappare letteralmente in Argentina, a Cordoba dove raggiunge un suo amico conosciuto a Londra. Ma ben presto finì immerso nella vita artistica di Buenos Aires, città più adatta al suo estro ribelle. Siamo nel 1981, c’è ancora la dittatura, prima della guerra delle Malvinas, Luca Prodan canta in inglese. Verrà più volte minacciato e colpito ad una mano da agenti in borghese ma la giunta militare è agli sgoccioli, al contrario dei Sumo che diventano sempre più popolari fino alla morte del loro leader, Luca Prodan, trovato privo di vita nella sua casa di San Telmo nel 1987.
Un mito in Argentina. Tutti sanno chi sono i Sumo e chi era Luca Prodan. Teneva sangue italiano ma in Italia non lo conosce nessuno.
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un po’ di Italia a Salta.

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