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Buenos Aires

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Cabildo Buenos Aires

Tutto iniziò con un libro appassionante, che raccontava la dura vita che ha dovuto affrontare un diplomatico italiano, nella Buenos Aires della dittatura, nel 1976. Non avevo nessuna intenzione di viaggiare solo per il mondo nei periodi di vacanza. Neanche di appassionarmi alla fotografia o di fare il docente. Poi succede che dopo quel libro e dopo tre anni mi decido a varcare quella soglia, psicologica più che altro, di attraversare l’oceano. Vado in Argentina. Vado a respirare il libro. Non era solo il libro. Volevo respirare lei, la regina del sud America, Buenos Aires, amichevolmente Baires. Quando la vedi ci ritorni, mi hanno detto. È diventata la mia ossessione, come tutta l’Argentina. La chiamavano la Parigi del sud America. Poi vedendo i palazzi antichi in stile Art déco o art nouveau, ho capito il perché. La prima volta, fu nel 2009, la mia prima volta dall’altra parte del mondo, Baires, Cordoba e Uruguay, Colonia e Montevideo, tutto per 20 giorni circa. Era solo per tastare il terreno. Avevo le mappe di carta, mi connettevo in internet point per prenotare, e avevo un telefono GSM, stavo bene lo stesso. Certamente il viaggio poteva sembrare meno comodo, ma facevo lo stesso tante foto e basta questo. Un’emozione la prima volta che l’ho vista. Arrivato ad Ezeiza, la zona dell’aeroporto, non ci credevo. Una città che ho inseguito per anni e che non ho creduto potesse essere così bella, così parigina ma anche come tutte le altre culture del mondo. Sapevo molto poco allora, mi sembra di sapere molto poco anche adesso. I suoi luoghi importanti, le sue piazze, le sue strade famose e meno famose. Tanto simile al sud-Italia, specialmente alla sera nei quartieri più popolari, quando si chiude il mercato e si ritorna a casa e per strada c’è solo carta e cartoni ed ecco che arrivano loro, los cartoneros che raccolgono tutto, con i loro camion, una vera raccolta differenziata. Se provi a chiudere gli occhi e pensare ad una città, Baires può essere tutte le città del mondo che desideri. Una città che non dorme mai, piena di italianità, che sembra quasi come una seconda Italia, innamorata del tango e del fútbol, dove mangi e bevi a qualunque ora della giornata, non posso dimenticare la mia prima parilla , il mate, appena arrivato a Caballito, il Malbech, e le empanadas, la gente che ormai da anni è abituata a soffrire con le svalutazioni del pesos che sempre più vale come carta straccia, che poi generano proteste nella piazza più famosa del sud America, la Plaza de Mayo, testimone di tante proteste delle madri e nonne dei desaparecidos, argomento duro ma decisivo nella mia scelta di visitare l’Argentina. La “Bombonera” e el barrio de la Boca, ma anche el Monumental, vicinissimo alla Esma e poi Garage Olimpo, queste ultime furono tappe obbligatorie. È una città molto legata all’immigrazione, creata sull’immigrazione, roba da dirlo ai politici di casa nostra. A Baires l’immigrazione è servita a renderla ancora più attraente, più forte e specialmente quella italiana, nel dopoguerra e nell’800. La Boca quartiere fondato dai genovesi ne è l’esempio più evidente. Eppure le volte che mi è successo di visitare questa splendida città, rimangono poche, due volte più una volta davvero di passaggio, perché ho voluto visitare anche altro. Passeggiando per il quartiere Caballito o Balvanera, ho sempre incontrato gente molto cordiale, subito pronta ad aiutarmi, mentalità latina non c’è che dire. La scusa per fermare le persone poteva riguardare un’informazione sulla metro o altro, e alle mie prime parole mi avrebbero chiesto divertiti: “Italiano?”. A quel punto la conversazione non verteva più sulla mia richiesta di informazione ma sarebbe deviata sulla sua vita, sarebbero cominciate una serie di esclamazioni sui nonni italiani che gli avevano insegnato un po’ di parole da piccolo. E quando succede di fermare per la strada qualche persona, lo faccio anche se non ho un evidente bisogno di aiuto, anche per sentire quell’accento porteño che ogni volta mi dà i brividi. Pur non essendo un nazionalista, un patriota o comunque uno che dà troppa importanza alla nazionalità e alla nazione, sentire pronunciare da un argentino qualche parola italiana o magari in siciliano, è davvero una bella sensazione che mi capita sempre quando passeggio per la città. Peraltro di questa città conosco poco, sento che c’è ancora molto da girare. Se potessi tornerei sempre, ogni anno, ma ho dovuto dare spazio nel frattempo ad altri paesi, altri luoghi magici, sempre in sud America e pure in Sud-Est Asia. Di certo, Baires e l’Argentina, per me sono diventati la mia base di partenza quando vado in Sud America, e quando non è successo, quasi mi rovinavo il viaggio perché pensavo che dovevo stare di più o proprio non dovevo escluderla. Quindi cerco sempre di metterla nell’itinerario per non sentirmi in colpa. Rispetto alla mia prima visita, adesso non c’è più la linea A della Metro, con i suoi interni interamente di legno. Roba di altri tempi, che però hanno dovuto rinnovarsi, con altre carrozze nuove cinesi. Anche quella era una caratteristica di Buenos Aires, peraltro negli ultimi anni era solo la “linea A” a mantenere gli arredamenti interni storici. Fortunatamente sono riuscito a vederla prima della fine.

E adesso? Come sarà Buenos Aires?

Al prossimo ritorno.

Baires

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