No Borders

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Mi sono preso qualche settimana prima di scrivere qualcosa su Maradona. Ci sono stati tanti affettuosi saluti per Diego. Il mondo del calcio e non solo quello gli ha voluto bene e si è fermato per lui. E nel frattempo un altro campione è andato via, come Paolo Rossi. I due si sono scontrati qualche volta, sia in campionato che al mondiale. Ma tornando a Diego Maradona, la sua è stata senza dubbio una vita vissuta come una rockstar del pallone. Una vita spericolata come cantava Vasco, perché vissuta intensamente. Non so se fosse il numero uno in assoluto. Perché ce ne sono stati tanti a cominciare da Pelé, Di Stefano, Puskas, Cruijff. Certamente avrebbe potuto dare molto di più nella sua era ma nella sua epoca è stato fenomenale, certamente il numero uno.
Il suo genio esplose poco prima di quel mondiale, nel 1978. Maradona aveva diciassette anni ma l’allenatore di allora, Menotti, non lo convocò, per poi pentirsene anni dopo, anche se con un titolo mondiale in tasca.
Era la nazionale del mondiale della vergogna, dei desaparecidos torturati alla ESMA, a pochi centinaia di metri dallo stadio Monumental, dove si giocava e si gridava, quel mondiale che diede lustro alla dittatura di Jorge Rafael Videla, amico di Licio Gelli, presente sugli spalti. Non era ancora il mondiale di Maradona.
E non lo fu neanche il 1982 che incoronò l’Italia di Bearzot e mandò a casa Diego, che stavolta giocò senza particolari colpi di genio, ma si cominciavano sempre più spesso a sentire alla radio le sue straordinarie prodezze e a vederle in televisione, con le maglie di Barcellona, Boca Juniors e Argentinos Juniors.
Il mio rapporto con Diego Maradona come l’avevo conosciuto, (senza Armando) era di profonda ammirazione, come può averla un bambino di nove anni, innamorato del pallone. E speravo potesse giocare con la Juventus, ma invece in una calda estate dei primi anni ottanta, il Napoli lo acquista. Non esattamente una grande squadra. Questa la grande particolarità di Maradona, di scegliere non i migliori, ma di farli diventare i migliori. Successivamente lui stesso dichiarò che la decisone fu soprattutto per scappare da Barcellona. Da lì a poco avrei dovuto ammirare un grande avversario. Come tanti, restai affascinato da questo argentino che sgusciava via da qualsiasi contrasto di gioco.
In Italia, Maradona, dopo la prima stagione 1984/85 (ottavo posto) di ambientamento ma anche di grandi colpi, fa decollare il Napoli, ancora privo di grandi giocatori. Arriva terzo in campionato al secondo anno, ma Diego c’è.
In estate vincerà il mondiale con la selección. Fu il suo mondiale, da assoluto protagonista che gli diede la celebrità assoluta, il primato indiscusso di giocatore più forte di tutti. Anche il Napoli diventa sempre più forte e a noi tifosi di altre squadre non restò che accettare di essere sconfitti e ammirarlo in silenzio.
È l’inizio della fine per la Juve che l’anno dopo cede il trono di campione al Napoli di Maradona.
Peraltro nell’ultima stagione di Michel Platini. Un periodo decisamente (bianco) nero.
Genio, talento, bellezza e arte, Diego Armando Maradona era tutto questo e può capirlo solo chi da sempre è innamorato del pallone.

Da Villa Fiorito e Buenos Aires, non poteva che finire a Napoli, luogo pieno di ricchezze ma anche di profonde contraddizioni proprio come lo è stata la vita di Diego, fatta di alti e bassi, di grandi discese e di ripide salite, di cadute rovinose e di rialzate eroiche. Proprio come lo è l’Argentina. Più che la sua dipartita dovrebbe sorprendere il fatto che il grande Diego Armando Maradona sia arrivato ai sessant’anni. Nel 2000 fu salvato con 38% delle funzionalità del cuore in meno. Ma nonostante questo, continuava a circondarsi di gente discutibile, (come fece a Napoli) che non faceva il suo bene e che non lo facevano stare bene. L’ambiente di Napoli, se in apparenza sembrava essere perfetto, non lo aiutò ma anzi lo accompagnò alla distruzione. Stesso discorso per la sua amata Argentina. Ed anche la sua famiglia allargata non gli dava pace. La sua tenuta nervosa non migliorò negli anni. Era nuovamente ingrassato e non camminava bene. L’operazione alla testa per un ematoma dopo una discussione accesa con la figlia, sembrava profetizzare il peggio. È rimasto da solo, e ha rischiato di morire tante, troppe volte. Speriamo possa ritrovare la pace.

AD10S-1 ©@VinzRob

Ma il carisma di Diego e la sua forte personalità si è espressa anche al di là del campo di gioco. Era un artista, un irregolare, e come tutti gli artisti viveva di alti e bassi e quando raggiunse l’apice della sua carriera, incominciò a vacillare. Le sue debolezze le ha pagate solo lui. Aveva un cuore grande secondo chi gli stava vicino o lo ha conosciuto, pieno di generosità ma essere troppo buono alla fine lo ha danneggiato.
Il fatto di rappresentare, secondo alcuni, la voce dei più umili, viste le sue origini, lo hanno portato a fare dichiarazioni inopportune e quanto mai sbagliate. Non c’è stato alcun riscatto sociale dei napoletani grazie a Maradona. O per lo meno non così evidente come piace dire a tutti. La società civile napoletana non è diventata più giusta ed equa grazie a Maradona. Non sono diminuiti i furti grazie a Maradona. La camorra era addirittura diventata amica di Maradona ma non mi sembra che con Maradona la gente abbia preferito lo sport alla camorra.
Ma con Maradona indubbiamente c’è stata una crescita di immagine della città di Napoli nel mondo.
Napoli era la città che aveva scelto Diego Maradona e che lui aveva scelto.
Nessuno ha chiesto a lui di essere da esempio per il popolo. Ognuno conduce la vita che vuole. E ne diventa pienamente responsabile.
Il suo pensiero politico era farcito di nazionalismo e populismo all’ennesima potenza.
Si tatuò il “Che” e divenne amico del dittatore Fidel Castro, quello che per quarantanove anni comandò un paese come un sultanato qualsiasi, cancellando il dissenso. Però a differenza di Fidel Castro non ha preso in giro le persone che avevano bisogno. Ha fatto tanta beneficenza di cui si sa pochissimo. Era estremamente generoso verso tutti.
Ha gridato il suo disprezzo contro i poteri forti del mondo ma non mi sognerei mai di accostarlo a personaggi storici come Cassius Clay o Nelson Mandela, che qualche battaglia per i diritti civili la fecero per davvero.
La mano de Dios fu un episodio che era già avvenuto in Udinese Napoli 2-2 nella stagione 84/85 ma non lo ricorda nessuno. Ovvio che faccia più comodo ricordare quella contro l’Inghilterra che rievocava la guerra per le Falklands e Diego quel giorno sembrava davvero in guerra.
Diego era un animo buono, si fidava di chiunque, grande difetto delle persone buone e quel suo cuore torturato, malandato da anni e anni di vita al massimo non ha retto più.
Non si capisce però perché sia morto lo stesso giorno di un dittatore come Fidel. Ma anche George Best morì il giorno 25.
Non mi interessa fare la morale ma non voglio neanche santificarlo. Non era Dio. Era un uomo.
La sua professionalità che non venne mai discussa, ma venne compromessa. Non era più come prima, niente lo era. Gli allenamenti, quando aveva voglia. Raggiungere il successo non fu facile e mantenerlo fu ancora più difficile. La droga, l’alcool, le uscite serali con amicizie discutibili fecero il resto.
Attaccò Pelé, dicendo che lui era il più forte, salvo poi fare pace.
E a Platini? Quante gliene disse? Ma nonostante tutto Michel ha avuto sempre belle parole. E pure in questi giorni il tributo di Le Roi è secco: “Mai stati nemici, ma venivamo da realtà troppo diverse. Ma entrambi volevamo cambiare il mondo del calcio e ce l’hanno impedito”, ed ancora “negli occhi di ogni gioventù nessuno come Diego”.
“È il nostro passato che se ne va. Sono molto triste. Ho nostalgia di un tempo che è stato bello. Ci hanno lasciato Cruyff, Di Stefano, Puskas: grandi giocatori che hanno segnato la mia giovinezza. Diego ha segnato la mia vita”.

Al di là di tutto Diego ha rappresentato un’epoca, ha fatto innamorare tanti del pallone, ha divertito con le sue giocate, non sarà stato un totale esempio fuori dal campo ma questo perché era un uomo, lo è stato per sempre. Sei stato umano Diego, per questo la gente non ti dimenticherà mai.

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