Dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano, alcune terre furono amministrate dal Regno Unito e dalla Francia. In particolare quelle che furono poi il Libano e la Siria, furono amministrate dalla Francia e la Palestina, la Terra Santa, fu amministrata dal Regno Unito. Nel 1945 abitavano in quella regione circa 1250 000 arabi e 560 000 ebrei. Questi ultimi erano immigrati ben prima delle due guerre mondiali, sul finire dell’ottocento, con la prima Aliyà e sebbene il Regno Unito avesse favorito il flusso migratorio, dopo un periodo invece, in cui cercò di proibirne l’arrivo, nel 1945, la politica inglese divenne parecchio restrittiva nei confronti degli ebrei che arrivano da tutte le parti del mondo. Anche perché gli inglesi non volevano inimicarsi gli Stati arabi ai quali fu promesso anni prima la creazione di un loro Stato indipendente. L’atteggiamento inglese irritò parecchio l’opinione pubblica europea e gli americani che erano convinti che la creazione di uno Stato per gli ebrei, fosse il giusto indennizzo per le atrocità commesse dai nazisti. Nel frattempo la situazione in quella regione diventava ogni giorno sempre più ingestibile. Esistevano parecchie formazioni paramilitari terroriste ebraiche che provavano a forzare la mano agli inglesi. Dall’ottobre 1945 le milizie sioniste dell’Haganà e dell’Irgum, cominciarono ad attaccare i militari inglesi e ad intensificare gli attentati. Il più celebre fra questi fu l’attentato all’Hotel King David di Gerusalemme, sede dell’amministrazione civile mandataria, dove morirono più di cento persone.
A quel punto il governo di Londra, incapace di trovare una via d’uscita, affidò la questione palestinese all’inizio del 1947, alle Nazioni Unite, che nel novembre dello stesso anno, approvarono un piano di spartizione della Palestina in tre parti, con uno Stato arabo, uno Stato ebraico e Gerusalemme internazionalizzata sotto il controllo dell’Onu.
Il piano fu respinto dai palestinesi e dagli Stati della Lega araba (formata dal 1945 da Egitto, Iraq, Siria, Libano, Transgiordania, Arabia Saudita), in quanto il piano favoriva nettamente gli ebrei: lo Stato arabo avrebbe infatti accolto 800 mila abitanti, quasi esclusivamente arabi, mentre nello Stato ebraico oltre a mezzo milione di ebrei avrebbero convissuto altrettanti arabi.
Il 14 maggio 1948, alla presenza degli inglesi, gli ebrei proclamarono la nascita dello Stato d’Israele. La Lega araba reagì, facendo entrare l’indomani le proprie truppe in Palestina. Inizia così la prima guerra arabo-israeliana. Gli israeliani attaccati su più fronti, sembravano perduti ma riuscirono a ribaltare la situazione, grazie alla superiorità dell’armamento e alla disorganizzazione degli arabi. Le truppe israeliane poterono così passare alla controffensiva occupando parzialmente Gerusalemme e circondando una parte dell’esercito egiziano e costringendo lo Stato arabo a siglare gli armistizi di Rodi (febbraio-luglio 1949) che posero fine agli scontri ma non allo stato di guerra. Gli Stati arabi non vollero infatti firmare alcun trattato di pace, perché non riconoscevano l’esistenza dello Stato d’Israele, ampliato con Gerusalemme Ovest e con altri territori che portarono la sua superficie dal 55% al 78% dell’antica Palestina. Lo Stato arabo-palestinese non vide la luce perché il resto della Palestina (tranne la Striscia di Gaza, amministrata dall’Egitto) fu annesso alla Transgiordania che acquisì così la Cisgiordania e Gerusalemme Est e che nel 1950 prese il nome di Giordania. La conseguenza della guerra fu il problema dei profughi arabi-palestinesi che in numero di circa 900 mila fuggirono dalla Palestina nei paesi vicini, che li ospitarono in grandi campi, dove la vita in comune risveglierà o forse farà nascere una coscienza nazionale che porterà in seguito a tentare numerose rivincite.
Dopo il conflitto Israele si andò rafforzando sia demograficamente che economicamente. Tra il 1948 e il 1968 affluirono nel nuovo Stato 1200 000 immigrati, provenienti in parte dai paesi arabi sottosviluppati e per lo più con un basso livello di cultura (ebrei sefarditi), in parte dai paesi più o meno avanzati dell’Europa centro-orientale e in genere con un buon livello di istruzione (ebrei askenaziti). L’economia israeliana fece rapidi progressi sia nell’industria che nell’agricoltura, dove si attuarono forme di organizzazione sociale come le cooperative e i kibbutzim (kibbutz = gruppo, collettività, comunità egualitarie senza proprietà privata sperimentate fin dagli inizi del Novecento dai primi sionisti. Questo grande salto economico da parte di Israele si poté raggiungere grazie alle capacità del gruppo dirigente, fra cui David Ben Gurion, (già famoso perché facente parte di alcune organizzazioni sionistiche terroriste) dall’impegno nazionale e civile degli israeliani ma anche dal proficuo sostentamento che derivavano dalla solidarietà internazionale e dalle raccolte di fondi organizzate dalla comunità ebraiche sparse nel mondo ed in particolare dagli Stati Uniti.
La seconda guerra arabo-israeliana nasce quando nel 1952 la monarchia egiziana di re Faruk era stata rovesciata dai militari, e nel luglio 1956 Gamal Abdel Nasser, incarnazione del nazionalismo egiziano e dal 1954 presidente della nuova repubblica, aveva deciso la nazionalizzazione del canale di Suez per acquisire una fonte di finanziamento e per rinsaldare l’indipendenza del suo paese. Il Regno Unito e la Francia, che avevano forti interessi finanziari nel canale, reagirono d’accordo con Israele. Le truppe israeliane il 29 ottobre 1956 attaccarono l’Egitto e si impadronirono rapidamente della penisola del Sinai, mentre il 5-6 novembre forza anglo-francesi sbarcavano nella zona del canale. Ma la sconfitta militare dell’Egitto si trasformò in una vittoria diplomatica. Infatti gli Stati Uniti, preoccupati per un possibile allontanamento del mondo arabo dall’occidente, condannarono l’iniziativa neocolonialista dei loro alleati europei. L’URSS che già nei mesi precedenti aveva fornito armi a aiuti economici a Nasser, minacciò gli aggressori di rappresaglie atomiche. Di conseguenza Regno Unito, Francia e Israele si ritirarono dai territori occupati.
La terza guerra arabo-israeliana
La tensione esplose di nuovo nel 1967 e coinvolse Israele, l’Egitto, la Siria e la Giordania. Nasser, il presidente egiziano, sostenuto dall’URSS e fautore dell’unità araba, deciso a vendicarsi per il 1956, chiude il golfo di Aqaba alle navi di Israele. Naturalmente Israele reagì a questa azione che minacciava i suoi traffici, scatenando una guerra lampo contro i suddetti paesi arabi. L’aviazione israeliana fu la chiave per ottenere una facile vittoria in sei giorni. Fu chiamata infatti la guerra dei sei giorni. Gli israeliani sfondarono le linee nemiche nel Sinai e in Giordania, costringendo gli arabi al cessate il fuoco chiesto dalle Nazioni unite. Persero la vita circa 15 mila arabi e 3 mila israeliani. L’Egitto perse la penisola del Sinai, la Giordania dovette rinunciare alla Cisgiordania ed a Gerusalemme Est, la Siria fu privata invece delle alture del Golan. La sconfitta umiliò gli arabi e indebolì il nasserismo a vantaggio degli Stati conservatori della regione come Arabia Saudita e Sudan e rafforzò la presenza americana a scapito di quella sovietica. L’Onu cercò di arrivare ad un arbitrato internazionale e il Consiglio di sicurezza approvò così la risoluzione n.242 che chiedeva il ritiro delle forze israeliane dai territori occupati e proclamava il diritto di ogni Stato della zona a frontiere sicure e riconosciute. I dirigenti israeliani si dimostrarono però incapaci di cogliere l’opportunità di cercare di risolvere alla radice il problema palestinese e non accolsero le richieste del ritorno dalle terre conquistate. Essi si rifiutarono anche di riconoscere i palestinesi come entità nazionale e di accettare come base di trattativa con gli arabi, l’ipotesi di creare uno Stato palestinese in Cisgiordania ma addirittura procedettero con la colonizzazione delle zone occupate, trasferendo un gran numero di famiglie ebree. La conseguenza fu che altri 300 mila palestinesi si rifugiarono in Libano e in Giordania e che questi contribuirono a rafforzare l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) che, presieduta da Arafat, contrappose la propria intransigenza a quella di Israele, sostenendo che la condizione per la liberazione della Palestina fosse la distruzione dello Stato di Israele. La lotta amata dell’OLP contro Israele, si concentrò in una serie di incursioni dei fedayyìn (combattenti) provenienti dagli Stati arabi confinanti e di atti di terrorismo come dirottamento di aerei o l’uccisione degli atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco del 1972. L’attività dell’OLP esponeva però la debole Giordania alle rappresaglie israeliane fino a quando nel 1970 il re di Giordania Hussein lanciò un massiccio attacco contro i campi palestinesi presenti nel suo territorio e dopo cruenti combattimenti (il settembre nero) costrinse i resistenti palestinesi a riparare in Libano.
La quarta guerra arabo-israeliana
Con la morte di Nasser nel 1970, il suo successore, Anwar al-Sadat, cercò di cambiare gli orientamenti della politica egiziana, così abbandonato il sogno panarabo di Nasser, operò un riavvicinamento agli Stati Uniti. Ma allo stesso tempo, tre anni dopo, insieme alla Siria, il 6 ottobre 1973, giorno della festa religiosa ebraica del Kippur, lanciò un attacco contro Israele, che in un primo tempo venne colta di sorpresa. La reazione israeliana riequilibrò la situazione preesistente e dopo diciotto giorni di combattimenti i contendenti accettarono il cessate il fuoco imposto dalle due superpotenze, Usa e Urss e dall’ONU. I paesi arabi appoggiarono chi scatenò la guerra con l’arma del petrolio, quindi con il blocco delle esportazioni e il rialzo dei prezzi del petrolio. Questo fatto fatto determinò uno shock petrolifero che ebbe gravi conseguenze sull’economia dei paesi industriali. La guerra del kippur non generò vantaggi territoriali agli arabi ma certamente affermò la capacità combattiva araba e la vulnerabilità israeliana. Questo determinò una pace insperata per Sadat con Israele, attraverso un rovesciamento delle alleanze che portò l’Egitto a lasciare l’Urss e ad allinearsi con gli Usa. Si arrivò, grazie all’intervento degli Usa, con il presidente Carter, si arrivò agli accordi di Camp David del 1978, fra Sadat e Begin, primo ministro israeliano, preludio al trattato dell’anno successivo che restituì il Sinai all’Egitto e che prevedeva la creazione graduale dell’entità palestinese a partire dalla concessione dell’autonomia alla Cisgiordania e a Gaza. Sadat fu però osteggiato da gran parte dei paesi arabi, anche perché Israele non diede l’autonomia a Gaza e Cisgiordania, finché non venne assassinato nel 1981 da integralisti islamici.
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