Sono negozi nati in un laboratorio di neuromarketing. Boutique pensate come isole di indulgenza in grado di attirare un target verticale di bambini e adulti. Con buona pace per il rischio obesità che, con l’uso smodato di zuccheri e grassi, da pericolo diventa realtà. Un nuovo fenomeno esploso, secondo l’istituto di ricerca e osservazione dei comportamenti Future Concept Lab, come reazione trasgressiva al dilagare dei regimi alimentari che sempre più regolano il mondo adulto. Alcune catene, come Pirate Candy e Candy World, hanno spazi di vendita concepiti ispirandosi alle visioni pop proposte da film come Barbie, Pirati dei Caraibi o Willy Wonka. Altri, su tutti gli ODStore – acronimo di “ovunque dolce salato” –, in pochi anni hanno invaso le città italiane puntando su grandi superfici espositive e luci, colori e profumi dall’impatto pervasivo. Due diversi modi di declinare una nuova ricetta imprenditoriale che ha disseminato di spazi dedicati a caramelle, cioccolato, torroncini e lecca lecca i luoghi del passeggio pomeridiano o dove c’è un consistente flusso di persone: centri commerciali, grandi stazioni, retail park. Due ricette che hanno intercettato, se non addirittura creato dal nulla, un mercato fiorente, se si pensa che Sapori Artigianali srl – la società proprietaria degli ODStore, case history tutta nostrana di questo fenomeno – nel 2022 ha avuto un giro d’affari di poco inferiore ai 140 milioni di euro.

«Le tendenze alimentari – vegano, senza glutine, senza lattosio – rifuggono il consumo di dolciumi, ma hanno contribuito a creare nuove, e opposte, opportunità», spiega il sociologo Mauro Ferraresi, autore de Le nuove leve del consumo (Guerini). Questa tipologia di store sfrutta il cosiddetto “consumo emotivo”. «Alcuni sociologi parlano anzi di un “mercato emotivo” nel cui perimetro entrano senz’altro queste attività», osserva. «Il turbinio di luci e colori, gli scaffali ricolmi di merce e i profumi sospinti dalla climatizzazione propongono un acquisto impulsivo, lontano dalla ritualità della pasticceria vecchio stile. Tutti questi elementi concorrono a confezionare, non solo con il packaging del prodotto, ma con quello dell’intero negozio, un’offerta che, a mio avviso, sociologicamente parlando è un processo di comunicazione riuscito».

Una proposta commerciale che cavalca il fenomeno dell’infantilizzazione degli adulti. Negozi che possono essere frequentati da nonni con nipoti, genitori con figli o da gruppi di adolescenti che apprezzano anche l’instagrammabilità degli allestimenti, facendo di questi non-luoghi un’evoluzione del Luna Park. Dietro alla precisione dei format si intuisce un grande investimento nella ricerca che, a monte, ne costruisce con perizia sempre più scientifica i meccanismi della proposta commerciale. I laboratori di neuromarketing suggeriscono non solo gli allestimenti più invitanti, ma anche i sottili stratagemmi psicologici in grado di attirare la clientela come un prato fiorito richiama le api. Il tema del profumo non è casuale: il marketing olfattivo è una delle caratteristiche più evidenti di questi store, molto studiata da realtà come il centro di ricerca di Neuromarketing “Behavior and Brain Lab” dell’Università Iulm di Milano, uno dei più grandi d’Europa, che insegna alle aziende come utilizzare al meglio questi nuovi strumenti. «Fermo restando che non si può manipolare il consumatore», spiega Vincenzo Russo, professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing nell’ateneo milanese, autore di Neuroscienze a tavola (Guerini) e Consumer neuroscience (Pearson), «un prodotto cattivo rimane cattivo. Tuttavia uno buono può essere “aiutato” a essere percepito come migliore. Giocare con forti colori e profumi serve ad attivare la parte più antica del cervello, il sistema limbico, facendo apparire la merce come ricca di energia», spiega. «Quella limbica è la prima parte ad attivarsi di fronte alle stimolazioni, suggerendoci istantaneamente se una cosa è buona o pericolosa. Lo fa senza nessun tipo di riflessione: si innesca in 13 millesimi di secondo. Ma uno studio a firma di Brian Knutson della Stanford University ha mostrato che, se il sistema limbico si attiva in modo forte, la parte razionale del cervello ne viene condizionata profondamente. L’uomo non è una macchina pensante che si emoziona, ma una macchina emotiva che pensa».

I laboratori di neuromarketing oggi hanno messo a fuoco e sfruttano meccanismi psicologici complessi, come il fenomeno della super-addittività: «Si ha quando due stimoli, per esempio il colore e l’odore, vanno nella direzione attesa. In questi casi, uno rinforza l’altro. Se le faccio sentire l’odore di un prodotto alla fragola senza mostrargliene il colore, in un esperimento “in blind”, il cervello si attiva in misura x. Ma se le mostrassi anche il colore che lei si aspetta per quel profumo, il sistema olfattivo si attiva in misura doppia: lo stesso odore è percepito dai clienti in maniera più marcata». Un altro elemento di cui è stata scoperta l’importanza nel marketing sensoriale è la lucidità del prodotto: «Una qualità molto importante per il sistema limbico», svela Russo, «che ha a che fare con un elemento salvifico per gli animali, l’acqua. Un prodotto dolciario lucido ci appare pulito e risulta più attrattivo». Anche il marketing olfattivo serve a rallentare o guidare il comportamento della clientela. «Ci sono esperimenti che dimostrano come alcuni profumi, usati in determinati contesti, possono funzionare da butta-dentro. Tempo fa la catena americana Dunkin’ Donuts ha spruzzato profumo di caffè dentro un autobus che aveva alcune fermate davanti a suoi negozi. I consumi di caffè in quegli store sono cresciuti del 34 per cento».