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La giustizia italiana condanna Astiz, l’angelo della morte

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Alfredo Astiz

ROMA – Ergastolo per Alfredo Ignacio Astiz, l’ex intoccabile tenente della Marina argentina responsabile del sequestro, della tortura, della detenzione e dell’uccisione di Angela Maria Aieta, Susanna e Giovanni Pegoraro.

La prima sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, ha confermato stasera la condanna emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma che il 24 aprile 2008 ha deciso l’ergastolo non solo per Astiz ma anche per altri quattro gerarchi argentini: Jorge Eduardo Acosta, Alfredo Ignacio Astiz, Jorge Raúl Vildoza, Antonio Vañek e Héctor Antonio Febres. Erano responsabili dell’Esma, la Scuola superiore di meccanica trasformata dalla dittatura nel più grande centro di detenzione clandestina di Buenos Aires. Si chiude così, oggi il primo storico processo aperto in Italia per restituire giustizia, dopo trent’anni, a tre desaparecidos italiani, uccisi dal regime instauratosi con il golpe militare del 24 marzo del 1976.

Susanna, originaria del Veneto, era una bellissima ragazza di soli 22 anni. Era incinta quando i militari la sequestrarono, il 18 giugno 1977. La portarono via con la forza mentre, insieme a suo padre, beveva un caffè in un bar di Buenos Aires. Giovanni Pegoraro cercò di segnare su un foglio la targa dell’auto che stava portando via la figlia. E per questo rapirono anche lui. Furono portati nell’Esma. Susanna, in quel posto infernale, partorì una bambina e poco dopo fu uccisa, come suo padre.

Angela Maria Aieta, emigrata dalla provincia di Cosenza, fu sequestrata clandestinamente dai militari nella sua casa di Buenos Aires il 5 agosto 1976 perché madre di uno dei capi dell’opposizione alla dittatura, Dante Gullo (ora deputato), detenuto, senza mai un processo, per ben otto anni e otto mesi, dal 1975 fino al ritorno della democrazia. Anche lei fu portata all’Esma e torturata per mesi. “Quando la riportavano dalla sala delle torture – ha testimoniato Ebe Lorenzo, ex sequestrata – la rimettevano per terra a fianco a me, legata e bendata. Ma lei invece di lamentarsi mi rincuorava: ‘Coraggio, siamo ancora vive'”. Grazie al suo silenzio ha salvato la vita a molte persone. Fu gettata viva da un aereo in uno dei voli della morte. Lo scorso anno la città di Buenos Aires le ha dedicato una piazza e il suo paese natale, Fuscaldo, le ha intitolato simbolicamente una scuola elementare.

La madre di Susanna Pegoraro, dopo molti anni, è riuscita a ritrovare la nipotina. Era stata destinata ad una coppia di sostenitori del regime. Ma per molti la tragedia continua: sono tanti i trentenni figli di desaparecidos che ancora oggi vivono, ignari, nella menzogna e chiamano “papà” e “mamma” perfetti estranei. Nell’Esma c’era infatti un reparto per le partorienti: le donne venivano tenute in vita fino al parto, legate e con i fucili puntati. Subito dopo i bambini venivano presi dai militari e allevati, venduti o dati in affidamento. L’unica cosa rimasta loro è il patrimonio cromosomico e per questo, le Nonne de Plaza de Mayo – nonne in cerca dei nipoti – hanno organizzato una banca del Dna. Ma trovare il coraggio di andarci vuol dire sconvolgere la propria vita e non tutti sono disposti a farlo.

I responsabili di questa tragedia senza fine hanno godute di amnistie su amnistie da parte dei governi argentini e molti di loro girano ancora liberi e ricchi per le strade di Buenos Aires. Il processo che si è chiuso stasera ha preso il via l’8 giugno 2006 davanti alla Seconda Corte d’Assise di Roma. Udienza dopo udienza, sono arrivati a Roma da ogni parte del mondo diversi ex compagni di prigionia delle tre vittime. Si sono incontrati per la prima volta, dopo la liberazione riaprendo ferite mai sopite per mantenere fede alla promessa fatta in prigionia – chi sopravviverà lotterà per gli altri – e contribuire a scrivere la parola giustizia sulla memoria di Angela Maria, Susanna e Giovanni. Hanno raccontato davanti ai giudici e alle telecamere una galleria di orrori e di violenze subite di difficilmente descrivibili.

Oltre ai sequestrati, hanno testimoniato quattro grandi voci: la bandiera della battaglia per i figli dei desaparecidos in Argentina: Estela Carlotto, presidente delle Nonne di Plaza de Mayo; il giornalista Rai Italo Moretti, allora inviato in America latina; Enrico Calamai, lo “Schindler” argentino che mise in salvo centinaia di oppositori politici del regime; il giornalista argentino Orazio Verbitsky (della giunta direttiva di Human Rights Watch/Americas) che con un’agenzia clandestina ha più volte denunciato, durante il golpe, le atrocità del regime militare e, negli anni successivi, i silenzi di chi li ha coperti.

da repubblica.it

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